Da Londra a Como-Lazio: la nuova sfida tra Fabregas e Sarri
Fabregas e Sarri, un legame fatto di rispetto e contrasti
«Non importa cosa gli dici, non importa cosa gli consigli, non importa quale sia la tua opinione, non cambierà mai. È molto superstizioso, è molto testardo in questo senso».
Con queste parole Cesc Fabregas ha descritto Maurizio Sarri, sintetizzando in poche frasi il rapporto complesso che li ha legati al Chelsea e che oggi, a distanza di anni, riemerge in una nuova veste.
Sono trascorsi sette anni da quell’ultima volta in cui si sono incrociati da protagonisti diretti. Era il 2019, una cupa sera di FA Cup: Fabregas lasciò il campo in lacrime, mentre Sarri, con la consueta sigaretta tra le dita, osservava la scena applaudito dai tifosi.
Un’immagine che segnò la fine di un capitolo e l’inizio di percorsi diversi. Da un lato Cesc, pronto a lasciare Londra e un Chelsea che era stato la sua casa; dall’altro Sarri, ancora alla ricerca della sua definitiva consacrazione in Inghilterra.
Oggi il destino li ha riportati a confronto. Non più giocatore e allenatore, ma colleghi sulle panchine: Fabregas guida il Como, Sarri la Lazio. Due mondi apparentemente distanti, ma uniti dalla stessa filosofia di gioco: precisione, determinazione, la ferma volontà di restare fedeli alle proprie idee.
Quando Sarri arrivò a Stamford Bridge nell’estate del 2018, Fabregas era uno dei leader indiscussi dello spogliatoio. Con due Premier League vinte alle spalle e il cuore della tifoseria, sembrava destinato a essere il perno della nuova squadra. Lui stesso, inizialmente, lo aveva percepito così:
«Tutto il gioco passa da me. È ciò che mi piace. Sento sensazioni con Sarri che pensavo di non provare più. Tocco il pallone cento volte, tutto il gioco passa da me o Jorginho».
L’arrivo di Jorginho, però, cambiò radicalmente le gerarchie. Il regista italo-brasiliano, uomo di fiducia di Sarri, divenne subito il fulcro della manovra. Fabregas provò ad adattarsi, ma non bastò. Col tempo maturò la convinzione che fosse ormai troppo tardi per invertire la rotta:
«Avrei voluto che Sarri fosse arrivato qualche anno prima, onestamente, anche se è un po’ tardi ora nella mia carriera. Sono decisamente molto felice con lui».
Ma dietro l’entusiasmo iniziale c’era una verità più amara:
«Ero al Chelsea e avrei potuto rinnovare il contratto per restare. È arrivato un nuovo allenatore e con lui un giocatore che per lui era come un figlio».
Non era solo una questione di campo. A pesare erano anche certe abitudini difficili da digerire. Fabregas lo raccontò senza giri di parole:
«Sarri ci fissava gli allenamenti sempre alle 3 del pomeriggio. Chi aveva famiglia come me, in quel modo non vedeva i figli tutto il giorno».
I calciatori chiesero di anticipare le sedute, ma la replica fu categorica: per Sarri le 15 erano l’orario ideale, supportato perfino da una ricerca!
«Mah, sarà… Io so solo che per qualsiasi giocatore è molto importante anche il tempo in famiglia».
Poi c’era la questione delle scelte tecniche:
«Sarri voleva puntare su Jorginho, che aveva avuto al Napoli ed era arrivato al Chelsea per 60 milioni. A me non bastava giocare Europa League e Coppa di Lega, io sono sempre stato titolare. Volevo essere sempre protagonista in Premier. Così alla fine sono andato via. Sarri è un buon allenatore e una persona di cuore. Però ha convinzioni molto forti a livello tattico, è superstizioso ed è molto difficile fargli cambiare idea».
Dal canto suo, Sarri non ha mai negato il suo modo di essere, fatto di fissazioni e piccoli riti. Lo disse chiaramente:
«Cosa mi dà fastidio? Le etichette: l'ex impiegato di banca che fuma troppo e ha 33 schemi su palla inattiva. Sono stufo».
Per lui contano i fatti, la fedeltà a un’idea, anche a costo di sembrare inflessibile.
Eppure, nonostante i contrasti, di Fabregas ha sempre avuto parole di stima: lo considerava «di intelligenza unica, di livello superiore a tutti gli altri».
Una visione che lo portò persino a prevedere, anni fa, che lo spagnolo sarebbe diventato presto un allenatore di primo livello. Una previsione che oggi trova conferma con la panchina del Como.
Ora i due si ritrovano da avversari, con passato e presente che tornano a intrecciarsi.
Non c’è rancore, solo rispetto reciproco.
Una partita che va oltre i novanta minuti, riportando a galla ricordi di un rapporto intenso, fatto di scontri e ammirazione.
Manuel