Fiorentina, gestione al limite!
Fiorentina, la polveriera che nessuno si aspettava: rigori contesi e spogliatoio spaccato
Nota importante: alcuni passaggi di questo articolo sono voci non confermate e vanno letti come tali. L’obiettivo non è “emettere sentenze”, ma analizzare i segnali di una crisi che, se reale anche solo in parte, può diventare devastante per una squadra.
Stavo riflettendo su una cosa molto semplice: quando un canale o un progetto si chiama “Il Bar del Calcio”, per definizione non può limitarsi a una sola maglia. Il bar è il posto dove si parla di tutto, dove si incrociano opinioni, voci, retroscena, e dove spesso si capisce prima degli altri quando una squadra sta entrando in una spirale. E ciò che sta emergendo attorno alla Fiorentina in queste ore (tra campo, spogliatoio e ambiente) è qualcosa che, se confermato, ha davvero pochi precedenti per intensità e confusione.
La crisi della Fiorentina
Perché sì: nel calcio le crisi esistono, le contestazioni pure, e perfino gli spogliatoi tesi non sono una novità. Ma quando i segnali iniziano a sovrapporsi — rigori contesi in campo, gruppi che si guardano in cagnesco, presunte tensioni fisiche nel post-partita, uscite “da film” dallo stadio, ritiro agitato e società percepita come distante — allora non siamo più davanti a una normale settimana storta. Siamo davanti a un possibile cortocircuito totale.
Il rigore contro il Sassuolo: quando il dischetto diventa un ring
Il primo episodio che accende la miccia riguarda la partita contro il Sassuolo. Un rigore, in teoria, dovrebbe essere un momento “semplice”: c’è una gerarchia, c’è un rigorista, c’è una decisione. In pratica, spesso è anche un momento di leadership: chi lo tira si prende responsabilità e pressione. Ma qui il punto è un altro: se la scena è stata davvero quella descritta, non siamo davanti a leadership. Siamo davanti a una frattura che esplode davanti a tutti.
Litigio in campo... altro pessimo segnale!
La ricostruzione parla di un litigio aperto su chi dovesse calciare: Kean che pretende il pallone con un ultimatum (“o lo batto io o smetto di giocare”), Gudmundsson (indicato come rigorista) che vorrebbe tirarlo ma non viene “autorizzato” dal gruppo, e poi l’avvicendarsi di altri giocatori — Ranieri, Fagioli — fino a trasformare il dischetto nel centro di una trattativa nervosa e pubblica.
C’è un dettaglio che, da solo, racconta quanto può essere profondo il problema: l’idea che Gudmundsson non venga sostenuto perché “non si schiera”. Se in uno spogliatoio il tema non è più “chi è il rigorista”, ma “chi sta con chi”, allora il campo smette di essere campo. Diventa la proiezione di una guerra interna.
Sempre secondo il racconto, dopo il rigore segnato ci sarebbe stato un comportamento anomalo: nessuna esultanza, un atteggiamento freddo, quasi “estraneo” al gruppo. E quando un giocatore, dopo un gol pesantissimo, comunica distacco o rottura, il messaggio arriva chiaro anche a chi guarda da casa: non siamo una squadra.
La gestione in campo: l’allenatore che “lascia fare” è un rischio enorme
Nel racconto c’è un’accusa che pesa quasi più del litigio: l’idea che l’allenatore (qui viene citato Vanoli) abbia “fatto finta di niente”, lasciando che fossero i giocatori a decidere. Ora, è giusto essere prudenti: non sappiamo cosa sia stato detto dalla panchina, non sappiamo quali ordini siano stati impartiti, non sappiamo cosa abbia percepito il quarto uomo. Ma la percezione pubblica conta, e nel calcio la percezione spesso diventa realtà mediatica.
Se una squadra discute platealmente sul rigore e la panchina non interviene con autorità visibile, il messaggio è devastante: manca una catena di comando. Ed è qui che la crisi diventa sistemica, perché non riguarda più il singolo episodio. Riguarda l’architettura dell’intero gruppo.
Un grande spogliatoio può anche sopravvivere a discussioni e tensioni, ma ha bisogno di una cosa: una figura che chiuda le porte, metta ordine e faccia rispettare regole non negoziabili. Nel calcio, le regole non negoziabili sono poche ma vitali: rispetto, disciplina, gerarchie chiare, e soprattutto tutela del collettivo. Se quel perimetro viene meno, ogni minuto successivo diventa potenzialmente una miccia.
Le voci dallo spogliatoio: se entra la violenza, è già un punto di non ritorno
Il passaggio più delicato del racconto riguarda ciò che sarebbe accaduto negli spogliatoi: una presunta colluttazione tra Kean e Ranieri, con un pugno e una reazione fisica. Qui è obbligatorio ribadire: si tratta di indiscrezioni non verificate. Tuttavia, il motivo per cui vanno trattate con serietà (pur senza trasformarle in “verità”) è semplice: se in un gruppo professionistico si arriva anche solo vicino a certi livelli di tensione, la situazione è già fuori controllo.
Nel calcio moderno, un club può gestire molte cose: risultati negativi, mercato sbagliato, infortuni, contestazioni. Ma l’eventualità di conflitti fisici interni è la più difficile da governare perché rompe il patto base: io mi fido di te mentre corri al mio fianco.
Ed ecco l’altro elemento esplosivo del racconto: l’idea che, nonostante tutto, entrambi sarebbero poi rientrati e avrebbero continuato a giocare nel secondo tempo. Anche qui: non sappiamo cosa sia realmente accaduto. Ma se fosse vero, la domanda non sarebbe “perché”. La domanda sarebbe: chi decide davvero in questa Fiorentina?
Perché ci sono momenti in cui un tecnico, un dirigente, uno staff, deve prendere una decisione impopolare ma necessaria: interrompere, proteggere il gruppo, dare un segnale. Non per punire, ma per salvare la squadra. Se il segnale non arriva, ogni giocatore capisce che “si può fare”. E quando capisci che “si può fare”, il passo successivo è inevitabile.
Spogliatoio diviso in fazioni: quando il gruppo non è più un gruppo
Un altro punto chiave del racconto è lo spogliatoio descritto come diviso in 7/8 fazioni: giovani contro veterani, piccoli clan, simpatie e antipatie, e un giocatore percepito come isolato o non gradito. Al netto delle esagerazioni (che spesso, nel passaparola, aumentano), il concetto resta: se la squadra si frammenta, la somma dei talenti non conta più nulla.
È un meccanismo quasi matematico: più fazioni = più energia sprecata. E l’energia sprecata non si vede subito nei primi minuti. La vedi dopo un gol subito, dopo una decisione arbitrale, dopo un rigore contestato, dopo una sostituzione. La vedi quando il gruppo dovrebbe reagire e invece si guarda intorno.
In una squadra sana, la domanda è: “Come la ribaltiamo?” In una squadra spaccata, la domanda diventa: “Di chi è la colpa?” E quando la colpa diventa la priorità, hai già perso.
Verona e l’uscita dallo stadio: scorta, van neri e inseguimenti
Il racconto poi aggiunge un episodio che fotografa un clima pesantissimo: dopo la partita contro il Verona, l’uscita dallo stadio non avverrebbe con i mezzi “ordinari”, ma con van neri, scorta della polizia e ultras che inseguono. Anche qui, prudenza: i dispositivi di sicurezza possono cambiare in base a rischio e contesto. Ma se l’immagine che passa è questa, la temperatura della piazza si capisce senza statistiche.
Quando una squadra non riesce più a muoversi in modo “normale”, significa che il rapporto con l’ambiente è entrato in una fase critica. Non è più contestazione: è frattura emotiva. E una frattura emotiva, per ricomporsi, ha bisogno di segnali forti, risultati e soprattutto scelte chiare della società.
La società percepita come distante: il vuoto di potere è il peggior nemico
Nel racconto compare un altro elemento: la presunta difficoltà del presidente in un periodo personale complicato, con la conseguente percezione di una società meno presente. Anche qui non entriamo nel merito delle situazioni private, che meritano rispetto. Ma nel calcio, quando la “testa” non comunica, non indirizza e non protegge, si crea un vuoto. E il vuoto, nel calcio, non resta mai vuoto: viene riempito da pressioni esterne, spaccature interne e scelte improvvisate.
I tifosi, in questa fase, diventano due cose insieme: una risorsa emotiva enorme e un termometro impietoso. Se davvero si è arrivati a minacce e a un clima da incubo, allora serve un intervento netto: comunicazione ufficiale, misure disciplinari se necessarie, protezione delle persone e ripristino delle regole.
Cosa può succedere adesso: tre scenari possibili
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Ricompattamento “di forza”: la società interviene, l’allenatore prende in mano la situazione, vengono chiarite le gerarchie (rigorista incluso), e il gruppo accetta una linea dura. È lo scenario più difficile ma anche l’unico realmente risolutivo.
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Galleggiamento: si prova a tenere tutto insieme senza tagli netti. Qualche risultato può arrivare, ma la frattura resta. È lo scenario tipico delle squadre che vivono mesi di tensione con esplosioni periodiche.
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Collasso: se le voci sono anche solo parzialmente vere e non arriva un segnale forte, la stagione può scivolare via. Perché quando perdi lo spogliatoio, perdi anche la partita prima ancora di giocarla.
La realtà, spesso, è un mix. Ma c’è una certezza: non si esce da una situazione simile con le frasi standard. Servono azioni. E servono in fretta, perché il calcio non aspetta.
Chiusura doverosa: se alcuni dettagli di questo racconto dovessero risultare inesatti o ingigantiti, l’auspicio è che venga fatta chiarezza con fonti e comunicazioni ufficiali. Nel frattempo, ciò che resta è l’immagine di una squadra in grande difficoltà emotiva e gestionale, e di una piazza che sta vivendo giorni pesantissimi.
Virginia
