Spari contro i ciclisti della Sc Padovani Polo Cherry Bank: paura in Val d’Adige durante l’allenamento

Ciclisti della Sc Padovani Polo Cherry Bank in allenamento in Val d’Adige affiancati da un’auto da cui partono spari a salve, momento di panico sulla strada

Spari (a salve) contro i ciclisti: paura in Val d’Adige durante l’allenamento

Val d’Adige (nei pressi di Dolcè) — Un allenamento su strada si è trasformato in una scena di paura: un’auto scura si è avvicinata al gruppo della Sc Padovani Polo Cherry Bank, lo ha affiancato e ha esploso due colpi con un’arma, con ogni probabilità colpi a salve. Nessun corridore è rimasto ferito, ma lo shock è stato immediato e la società ha presentato denuncia alle autorità. L’episodio, descritto come un vero e proprio agguato, riporta al centro un tema delicatissimo: la sicurezza di chi si allena su strada, spesso esposto non solo a imprudenze, ma anche a gesti intimidatori.

Che cosa è successo: l’auto affianca il gruppo e partono i colpi

La ricostruzione riportata nelle ultime ore parla di una dinamica netta e inquietante. I ciclisti, impegnati nella consueta seduta di allenamento, stavano percorrendo un tratto della Val d’Adige quando una vettura di colore scuro si è accostata al gruppo. L’auto non si sarebbe limitata a un sorpasso ravvicinato o a una manovra aggressiva (purtroppo già frequente in molte strade), ma avrebbe affiancato i corridori e, a distanza molto ridotta, sarebbero stati esplosi due colpi.

In base alle informazioni diffuse, si tratterebbe con ogni probabilità di spari a salve. Tuttavia, anche questa eventuale “attenuante” non cambia la sostanza: un gesto del genere è potenzialmente devastante. Il rumore improvviso, la paura, l’istinto di frenare o spostarsi possono generare cadute a catena e incidenti gravissimi. In questo caso, per fortuna, non ci sono stati feriti, ma si è trattato di un esito favorevole più legato alla sorte che a un rischio realmente contenuto.

Il team di Petacchi: una squadra simbolo e un nome pesante

La squadra coinvolta è la Sc Padovani Polo Cherry Bank, realtà ben nota nell’ambiente. A guidarla, nel ruolo di team manager, c’è Alessandro Petacchi, ex campione e sprinter tra i più vincenti del ciclismo italiano: in carriera ha conquistato molte tappe nei Grandi Giri e, tra i risultati più celebri, anche una Milano-Sanremo. Il coinvolgimento di una struttura con un profilo così riconoscibile rende l’episodio ancora più di impatto mediatico, ma soprattutto più emblematico: se può accadere a un gruppo seguito e organizzato, può accadere a chiunque pedali per allenamento o per passione.

La reazione nell’ambiente della squadra è stata di profondo sconcerto. Non si parla di un banale episodio di intolleranza verso i ciclisti, ma di un atto che appare intenzionalmente intimidatorio. Proprio per questo, nelle ore successive, la società ha deciso di agire sul piano formale.

Denuncia e indagini: motivi ignoti, ma massima attenzione

La denuncia è stata presentata e ora la questione passa alle autorità competenti. Al momento, le ragioni del gesto risultano non chiarite: non sono stati indicati elementi che possano spiegare perché quell’auto abbia scelto di affiancare proprio quel gruppo e di sparare. La priorità è quindi capire con precisione la dinamica, individuare eventuali testimoni e acquisire qualsiasi elemento utile a identificare il veicolo e il responsabile.

In casi come questo, ogni dettaglio diventa rilevante: il modello dell’auto, eventuali particolari visivi, la direzione di marcia, il punto esatto della strada, l’orario, la presenza di altre vetture o persone. Anche un singolo elemento può fare la differenza per ricostruire la catena degli eventi e risalire a chi era alla guida.

Il presidente Peruzzo: sollievo per i ragazzi, ma “vicenda terribile”

Le parole del presidente Galdino Peruzzo fotografano bene il sentimento della squadra: prima la gratitudine per l’assenza di feriti, poi la consapevolezza di quanto l’episodio sia grave.

“Siamo sollevati che tutti i ragazzi siano sani e salvi dopo quanto successo. Si tratta di una vicenda terribile che ci auguriamo non si ripeta mai più: la strada è la palestra dei nostri ragazzi e, come società, abbiamo provveduto ad adottare tutte le misure del caso per farli pedalare in sicurezza. Purtroppo, di fronte alla follia di certi soggetti, non possiamo davvero fare nulla.”

Il cuore del messaggio è doppio. Da un lato, la società rivendica l’attenzione organizzativa sulla sicurezza (scelta dei percorsi, gestione del gruppo, accorgimenti di visibilità). Dall’altro, riconosce un limite evidente: quando ci si imbatte in comportamenti deliberatamente aggressivi, la prevenzione tecnica e logistica può non essere sufficiente.

Non un episodio isolato: il precedente di settembre e la sensazione di escalation

Un elemento che rende la vicenda ancora più inquietante è che la società non la presenta come un caso totalmente isolato. Viene ricordato un fatto preciso: a settembre un corridore della squadra, Marco Palomba, sarebbe stato investito da un pirata della strada. Il richiamo a quell’episodio crea un filo logico: negli ultimi mesi, la percezione è che il livello di rischio per chi pedala non stia diminuendo, e che in alcuni casi si superi la soglia dell’imprudenza per arrivare a gesti apertamente ostili.

In strada, il ciclismo vive di una convivenza delicata: i ciclisti devono essere prevedibili, visibili e rispettosi delle regole; gli automobilisti devono adottare prudenza, pazienza e distanze adeguate. Basta però un solo soggetto irresponsabile (o peggio, intenzionalmente aggressivo) per trasformare un allenamento in una lotta per la sopravvivenza.

Konychev: percorsi scelti con cura, visibilità massima, ma “serve rispetto”

È intervenuto anche il direttore sportivo Dimitri Konychev, ex professionista, sottolineando come la squadra adotti una pianificazione accurata per ridurre i rischi. La sua testimonianza mette in luce un aspetto spesso sottovalutato: le squadre, soprattutto in inverno, selezionano aree e tracciati più adatti sia per qualità dell’asfalto sia per traffico più contenuto.

“La zona del Lago di Garda è una delle più ospitali e adatte per allenarsi in questo periodo. Ogni giorno tracciamo con cura e attenzione i percorsi di allenamento per evitare le principali arterie di comunicazione e gli orari di maggior traffico, non a caso ci eravamo spostati in Val d’Adige, su una strada scorrevole e piuttosto ampia che di sabato è libera dal traffico pesante. I nostri atleti indossano del vestiario visibile e hanno sulle proprie bici le luci per farsi notare dagli automobilisti. Abbiamo seguito i ragazzi dal primo all’ultimo chilometro… però serve maggior rispetto.”

Il punto è chiaro: la squadra non era in un tratto “improvvisato” o in una zona critica per traffico e carreggiata stretta. Al contrario, l’allenamento si svolgeva su una strada scorrevole e ampia, scelta proprio per ridurre le variabili di pericolo. Gli atleti indossavano abbigliamento visibile e usavano luci sulle bici. Inoltre, c’era un supporto organizzativo lungo l’intero percorso. Nonostante ciò, è bastato un unico veicolo per creare una situazione di allarme.

Perché anche spari “a salve” restano un fatto gravissimo

È importante essere netti: se davvero i colpi fossero stati a salve, non si può archiviare l’episodio come una bravata. 

In altre parole, la pericolosità non dipende solo dalla lesività fisica del proiettile: dipende dall’effetto che un atto intimidatorio produce su persone che, per definizione, sono esposte e vulnerabili. Il fatto che nessuno si sia fatto male non è una prova di “innocuità”, ma la dimostrazione che, per una volta, l’epilogo peggiore è stato evitato.

Il tema più ampio: sicurezza, cultura della strada e responsabilità

La vicenda della Padovani rimette al centro un tema che riguarda migliaia di persone: la strada come spazio condiviso. Per un ciclista, soprattutto per chi fa attività agonistica o semi-agonistica, la strada è il luogo dell’allenamento quotidiano, la “palestra” in cui si costruisce la preparazione. Per un automobilista, la strada è un canale di mobilità. La coesistenza è possibile solo se regge un patto minimo di civiltà.

Le società sportive possono fare molto: scegliere percorsi idonei, evitare orari critici, usare mezzi di supporto, imporre luci e capi ad alta visibilità, richiamare i propri atleti