Caos Rovella e Lazio dilettante: due mesi buttati!
La rabbia del tifoso biancoceleste!
Da tifoso della Lazio, oggi faccio davvero fatica a restare lucido. Il caso Nicolò Rovella – due mesi di terapia conservativa per la pubalgia, poi improvvisa decisione di operarsi – è l’ennesima fotografia di una gestione dilettantistica da parte della società e, allo stesso tempo, di una scelta discutibile del giocatore. Perché quando si parla di bisturi, l’ultima parola è sempre del calciatore. E qui, a Formello, hanno sbagliato tutti!
Dal derby alla sala operatoria: cronologia di un pasticcio
Rovella convive con la pubalgia praticamente dall’inizio della stagione. Il problema esplode definitivamente nel derby di settembre contro la Roma, quando è costretto a fermarsi e da lì inizia un percorso tortuoso: stop, terapie, programmi personalizzati, la famosa “terapia conservativa” che doveva evitargli il tavolo operatorio.
Per circa due mesi si lavora in questa direzione: niente intervento, sedute mirate, carichi di lavoro gestiti. Poi, negli ultimi giorni, il centrocampista aumenta l’intensità in campo per provare a rientrare dopo la sosta. Il risultato? Dolore di nuovo forte, fastidi che non passano, sensazione di non riuscire a liberarsi dal problema. A quel punto, la decisione: operazione, con rientro spostato addirittura all’inizio del 2026.
Tradotto: tra terapia conservativa che non funziona e operazione rimandata, la Lazio perde il suo regista per almeno quattro mesi complessivi. Un danno enorme per Sarri e per la stagione biancoceleste, in una squadra che già non naviga in acque tranquille.
Il post di Rovella: “Decisione presa insieme a società e staff”
Il primo atto del caos comunicativo arriva il 16 novembre, quando Nicolò Rovella decide di parlare direttamente ai tifosi attraverso una storia su Instagram. Il giocatore dice chiaramente di aver letto molte inesattezze e prova a ricostruire così la vicenda:
- ricorda di aver giocato partite (come Sassuolo e derby) in condizioni critiche, stringendo i denti;
- spiega che, dopo quei match, si è confrontato a lungo con staff medico, società e famiglia;
- sottolinea che insieme si è deciso di optare per la terapia conservativa, considerata una via spesso efficace e più rapida dell’operazione.
Il messaggio è forte e chiaro: non è stata una scelta solo sua, ma un percorso condiviso con il club. Rovella rivendica il fatto di aver fatto il possibile per evitare l’intervento, seguendo una strada che in altri casi ha funzionato e che, secondo lui, era stata valutata con tutti gli attori coinvolti.
Da tifoso, ascolto queste parole e la lettura è semplice: la società era perfettamente dentro la decisione di puntare sulla terapia conservativa. Non c’è alcun accenno a un “voglio fare di testa mia”, anzi: si parla di scelta collegiale.
La nota della Lazio
Passano poche ore e in seno alla società cominciano a trapelare smentite ed è qui che, dal punto di vista della gestione, cade il palco.
Il club ribadisce la vicinanza a Rovella, la stima per il suo sacrificio, il fatto che abbia giocato spesso convivendo con il dolore. Ma poi la società precisa che fin dall’inizio, la scelta di evitare l’operazione e tentare la terapia conservativa è stata una decisione del giocatore, così come lo è oggi quella di sottoporsi all’intervento.
In pratica, mentre Rovella parla di decisione presa insieme a staff medico e società, la Lazio si affretta a puntualizzare che si è trattato di una decisione del giocatore. Risultato: all’esterno passa l’idea di uno scaricabarile indecoroso.
Da una parte il calciatore che prova a dividere le responsabilità, dall’altra il club che, invece di fare muro col suo tesserato, sembra voler togliersi di dosso ogni colpa. Il giorno dopo, diversi organi di stampa parlano apertamente di “rimpallo di responsabilità” e di caso che divide tifosi e addetti ai lavori.
Perché questa gestione è degna di una società dilettante!
Dal punto di vista di un tifoso, quello che emerge è devastante per l’immagine della Lazio. La sensazione è di una società che:
- non controlla la comunicazione dei propri giocatori, lasciandoli liberi di lanciare messaggi pubblici che poi contraddice qualche ora dopo;
- non parla con una voce unica: una versione esce dal profilo social del calciatore, un’altra dal comunicato ufficiale del club;
- non tutela né il giocatore né l’allenatore, perché alla fine il danno ricade sul campo: Sarri perde il suo regista per mesi e i tifosi devono assistere all’ennesimo caos mediatico;
- dà l’idea di decidere “giorno per giorno”, senza un protocollo chiaro su infortuni, scelte mediche e comunicazione.
Parliamoci chiaro: in una società seria, un caso del genere non esplode pubblicamente in questo modo. Si convoca il giocatore, si concorda una linea comune da tenere verso l’esterno, si evita di mostrare al mondo una frattura interna che, in una piazza bollente come Roma, diventa benzina sul fuoco.
Invece, ancora una volta, la Lazio dà la sensazione di navigare a vista, con una gestione degli infortuni piena di zone grigie e una comunicazione che definire dilettantistica è quasi un complimento.
Le colpe di Rovella: il giocatore non è solo una vittima
Attenzione però: in tutta questa storia, Rovella non è solo un povero malcapitato. Un calciatore professionista, soprattutto a questi livelli, sa benissimo che la decisione di operarsi o meno, alla fine, passa dal suo sì definitivo. I medici consigliano, la società propone, la famiglia influenza, ma chi va sotto i ferri è lui.
Dopo settimane in cui il dolore non passava, dopo test falliti e ricadute, la scelta di continuare a rimandare l’intervento ha avuto un prezzo altissimo: mesi di stop complessivi, la stagione compromessa e una squadra che nel frattempo è andata avanti senza il regista pensato per Sarri.
Da tifoso sono inferocito anche con Rovella perché, se davvero era arrivato il momento in cui il dolore non accennava a migliorare, forse bisognava avere il coraggio di dire: “basta, mi opero subito”. Accettare il rischio di fermarsi prima, per tornare davvero a disposizione in tempi ragionevoli e non trascinare una situazione che oggi esplode in tutta la sua gravità.
Il danno tecnico: Sarri senza giocatore e tifosi senza spiegazioni
Sul piano tecnico, il quadro è chiaro: la scelta (sbagliata) di puntare sulla terapia conservativa e il successivo dietrofront costringono la Lazio a ridisegnare i piani a centrocampo. Cataldi, Basic, altri adattati nel ruolo: soluzioni tampone, mentre il vero regista rimane fermo ai box e rivedrà il campo solo più avanti, verso l’inizio del 2026... se tutto andrà bene.
Nel frattempo, i tifosi assistono a conferenze, comunicati e post social che non chiariscono nulla. Nessuno che si presenti davanti alle telecamere per dire con onestà: “abbiamo sbagliato tutti, ora impariamo da questo pasticcio”. Solo mezzi messaggi, precisazioni, versioni che non combaciano.
Serve una svolta vera, non l’ennesima toppa!
Il caso Rovella non è un incidente isolato: è l’ennesimo episodio che conferma la sensazione di una gestione confusa, reattiva, mai davvero preventiva. Su infortuni, comunicazione e rapporto con i calciatori, la Lazio continua a mandare all’esterno un’immagine fragile, improvvisata, assolutamente non all’altezza di un club che vuole stare stabilmente in Europa.
Da tifoso sono furioso con la società, che non è riuscita a gestire in modo lungimirante una situazione delicata, e sono arrabbiato anche con Rovella, perché un giocatore del suo livello deve assumersi fino in fondo la responsabilità delle proprie scelte.
Quello che chiedo, da semplice sostenitore biancoceleste, è una cosa sola: basta scaricabarile, basta conflitti tra versioni social e comunicati ufficiali. Servono programmazione, trasparenza e una linea unica, dalla stanza del medico fino al campo. Perché di stagioni rovinate da questi pasticci, francamente, noi laziali ne abbiamo già viste fin troppe!
Manuel

