Doveva essere Manuela il nuovo falconiere della Lazio!

Falconiera laziale esclusa dalla Lazio mentre libera in volo l’aquila simbolo allo stadio Olimpico, immagine simbolica del caso Manuela e delle polemiche sulla nuova gestione del falconiere

Lazio, il caso Manuela e il nuovo falconiere: retroscena, silenzi e rabbia della biancoceleste

L’aquila che vola sopra l’Olimpico non è solo un simbolo: è identità, appartenenza, rito collettivo. Per questo, ogni volta che intorno alla figura del falconiere esplode una polemica, il tema smette subito di essere “folklore” e diventa qualcosa di molto più profondo per il popolo laziale.

Negli ultimi giorni, accanto alle discussioni sul nuovo falconiere scelto dalla Lazio e sulle sue vecchie esternazioni social, è emersa una voce che merita di essere ascoltata con attenzione: quella di Manuela Piergentili, falconiera di professione e laziale dichiarata, che racconta come, dopo il caso Bernabé, fosse stata lei la candidata naturale per far volare la nuova aquila biancoceleste, salvo poi vedere la società sparire nel silenzio.

Una ricostruzione che aggiunge un altro strato di amarezza in una fase già tesissima tra club e tifosi. E che, vale la pena ricordarlo ai pochi che ci accusano di inventare notizie, noi sul canale “Il Bar del Calcio” lo avevamo anticipato mesi fa: le intenzioni della società andavano nella direzione di una falconiera donna

La mail a Lotito e la chiamata lampo: così nasce la candidatura di Manuela

Tutto parte dall’ormai noto caso Juan Bernabé, esploso a metà gennaio, che ha di fatto chiuso l’era del precedente falconiere e dell’amatissima Olympia. In quel vuoto di potere simbolico, la Lazio si mette alla ricerca di una nuova figura e, secondo quanto racconta Manuela, l’idea di fondo è chiara: puntare su una professionista donna, competente.

Manuela, che unisce una lunga esperienza con i rapaci alla fede laziale, decide di giocarsi la sua occasione. Il 18 gennaio invia una mail alla dottoressa Mezzaroma, consapevole – così riferisce – che in società si stesse ragionando proprio su un profilo femminile. Non passa neppure un’ora e arriva la chiamata che non ti aspetti: è direttamente Claudio Lotito a contattarla per fissare un incontro nel pomeriggio stesso.

Nel primo confronto, vengono toccati subito i nodi principali: addestramento della nuova aquila, tempi di inserimento, gestione delle uscite allo stadio e, inevitabilmente, la parte economica. Manuela non si limita a presentarsi, ma porta con sé un’idea chiara di progetto, con proposte strutturate su come costruire nel tempo un nuovo “rituale del volo” rispettoso del benessere dell’animale e della tradizione laziale.

Il progetto per la nuova aquila: un rapace intestato alla Lazio e trovato in Germania

Uno dei punti chiave del racconto di Manuela riguarda la proposta, fatta al club, di intestare la nuova aquila direttamente alla Lazio. Non un rapace “personale” del falconiere, ma un animale di cui la società fosse formalmente proprietaria, in modo che il legame fosse con il club e non solo con chi la fa volare.

In quest’ottica, Manuela va oltre le parole: si attiva concretamente e, nel giro di poche ore, individua in Germania un rapace idoneo, un esemplare maschio che – nelle sue intenzioni – avrebbe potuto diventare il nuovo simbolo biancoceleste. Un’idea che oggi, alla luce di quanto vede messo in pratica allo stadio con il nuovo falconiere, suona come un’amara ironia: il progetto operativo che lei racconta di aver presentato viene di fatto adottato, ma le chiavi della scena finale le vengono tolte dalle mani.

Per chi ha seguito da vicino la vicenda della nuova aquila biancoceleste e della sua comunicazione mediatica , questo dettaglio non è secondario: l’immagine del rapace è diventata subito uno strumento di storytelling ufficiale, mentre dietro le quinte si consumava una trattativa fatta di promesse, attese e, alla fine, silenzi.

Mesi di attesa, amicizie “a senso unico” e il deserto intorno

Dopo il primo entusiasmo, la storia prende una piega diversa. Tra gennaio e febbraio, secondo quanto riferisce Manuela, i contatti con la società rallentano. Il presidente le chiede pazienza: il capitolo Bernabé non è ancora formalmente chiuso, e il club, almeno sulla carta, non può accelerare troppo sulla nuova soluzione.

In questa fase di limbo, nella vita professionale della falconiera si intrecciano altre presenze. Lei stessa parla di una persona che riteneva amica, una figura di cui si fidava e con cui condivideva eventi e progetti al di fuori dell’ambito Lazio. Proprio su questi eventi extra – racconta – nascono le prime divergenze: Manuela non avrebbe voluto partecipare, concentrata com’era sull’opportunità di far volare l’aquila allo stadio.

A quel punto – sempre secondo la sua versione – nella storia entra un terzo soggetto. E da lì in poi, la sensazione è quella di un progressivo svuotamento intorno a lei. Le telefonate si diradano, i riferimenti societari diventano sfuggenti, le certezze si trasformano in dubbi. Fino a quando, pur senza una comunicazione ufficiale, Manuela capisce che qualcosa si è rotto.

Il secondo colloquio, il progetto approvato e l’ombra degli “altri”

Il 6 maggio arriva un nuovo contatto dalla Lazio: la dottoressa Mezzaroma richiama Manuela per un ulteriore colloquio. Al tavolo, oltre a lei, ci sono Floridi ed Enrico Lotito. Si torna a discutere di addestramento, del nome della nuova aquila, di come presentare il rapace prima nel centro sportivo e poi all’Olimpico. La falconiera porta un piano preciso: fase di inserimento a Formello, ambientamento graduale ai rumori dello stadio, primi giri di campo sul pugno per abituare l’animale al contesto.

Il progetto – racconta – piace e viene sostanzialmente approvato. Ed è proprio questo il punto che brucia di più oggi: quel piano, quelle idee, quello schema di lavoro sono gli stessi che la società ha poi applicato con il nuovo falconiere, Giacomo Garruto, figura che Manuela definisce completamente esterna alla sua vicenda personale.

A suo dire, a interrompere il percorso sarebbero stati proprio quei due individui che si sono inseriti tra lei e il club, approfittando anche del fatto che non aveva accettato determinati eventi. In pratica, una sorta di “collisione” costruita a tavolino, che le avrebbe tolto dal tavolo proprio quando si sentiva ormai a un passo dalla firma.

“Essere laziale mi ha penalizzato”: il sospetto che fa male più di un no

La delusione più grande, però, non è solo professionale. Manuela arriva a dire che il suo essere dichiaratamente laziale potrebbe averla penalizzata. È un’interpretazione personale, certo, ma in un clima già teso tra società e tifoseria – basti pensare alla protesta della Curva Nord per Lazio–Lecce raccontata in questo nostro approfondimento – è comprensibile che molti sostenitori biancocelesti si riconoscano nella sua amarezza.

A rendere tutto ancora più amaro è la modalità con cui, secondo il suo racconto, la Lazio la mette da parte: non una telefonata per dire “abbiamo scelto un’altra strada”, non un messaggio per chiudere con rispetto un percorso iniziato mesi prima, ma semplicemente il nulla. Silenzio. Sparizione. Come se quella candidatura, quell’impegno, quella passione non fossero mai esistiti.

Manuela ribadisce più volte di non voler imporre la sua figura alla società: il club ha il diritto di scegliere chi vuole. Quello che non accetta – ed è difficile darle torto su questo piano umano – è l’assenza totale di considerazione, il modo in cui una storia che sembrava promettente è stata lasciata evaporare.

Nel frattempo esplode il caso Garruto: post vecchi, scuse nuove

Mentre la figura di Manuela resta “nel limbo”, la Lazio rompe gli indugi e affida il ruolo di falconiere a Giacomo Garruto. Prima ancora che il nuovo rapace spicchi il primo volo sopra l’Olimpico, però, esplode un’altra tempesta: sui social vengono riesumati vecchi post del nuovo falconiere, in cui compaiono espressioni durissime contro la società e, soprattutto, riferimenti nostalgici al fascismo e a Benito Mussolini.

La vicenda finisce immediatamente sulle pagine di numerosi quotidiani sportivi e generalisti, alimentando un'ondata di polemiche che si innestano su una società già sotto accusa per la gestione dei rapporti con la propria gente. Garruto, da parte sua, pubblica un messaggio di scuse in cui prova a prendere le distanze dal passato, spiegando di essere cambiato e di non riconoscersi più in quelle frasi. Ma intanto la narrativa intorno alla “nuova aquila” è già macchiata da un caso mediatico che poteva e doveva essere evitato.

Il paradosso è evidente: da una parte una falconiera laziale, che porta un progetto chiavi in mano, che chiede solo di essere trattata con rispetto; dall’altra un falconiere che arriva al ruolo già accompagnato da un dossier di post imbarazzanti, che la rete ha impiegato pochi minuti a recuperare. Il confronto, agli occhi di molti tifosi, è inevitabile e devastante per l’immagine del club.

Il ruolo dell’aquila nella frattura tra Lazio e il suo popolo

Se la storia di Manuela fosse solo una vicenda di lavoro andato storto, resterebbe comunque amara. Ma il punto è che questa vicenda si inserisce in un contesto molto più ampio, fatto di proteste, comunicati, silenzi e fratture profonde tra la Lazio ed il suo valore più grande e rappresentativo: I TIFOSI

 Dal caso Paparelli e l’Olimpico senza Curva Nord, fino alle polemiche per il racconto ufficiale attorno alla nuova aquila – che abbiamo definito senza mezzi termini un possibile mezzo di distrazione di massa – il filo rosso è sempre lo stesso: una società che sembra non comprendere fino in fondo la sensibilità del proprio popolo.

L’aquila non è un semplice “effetto speciale” da pre-partita. È un rito identitario, un simbolo che porta sulle ali decenni di storia, sacrifici, vittorie e sconfitte. Quando si gestisce in modo superficiale chi fa volare quell’aquila, o peggio ancora si dà la sensazione di aver ignorato una professionista laziale in favore di una scelta quantomeno discutibile, il messaggio che arriva ai tifosi è chiaro: la vostra sensibilità non è una priorità.

“Sul nostro canale lo anticipammo mesi fa!”: la smentita più forte alle accuse di fake news

In mezzo a questo caos, c’è un aspetto che tocca da vicino anche la nostra sensibilità. Mesi fa vi raccontammo che nelle intenzioni della società si stava andando verso la scelta di una falconiera donna. Non come fantasia, ma come informazione raccolta incrociando voci, segnali e ricostruzioni.

Qualcuno ha liquidato queste anticipazioni come l’ennesima “storia inventata”, come l’ennesima presunta fake news partorita da chi critica apertamente questa gestione. Oggi, però, è la stessa protagonista a confermare pubblicamente che la Lazio aveva effettivamente valutato la sua candidatura, che l’idea della falconiera donna era concreta, che i colloqui ci sono stati e che un progetto operativo è stato discusso nei dettagli.

E allora, alla faccia dei pochi che affermano che su questo canale si dicono anche notizie false, i fatti raccontano un’altra storia: qui si analizza, si verifica, si sbaglia anche, ma si lavora sempre con onestà intellettuale, provando a restituire ai tifosi un quadro reale di quello che accade intorno alla Lazio. Anche quando questo quadro è scomodo.

Una vicenda emblematica di una gestione che non sa ascoltare

Il caso Manuela Piergentili non è solo il racconto di un’occasione mancata. È lo specchio di un modo di gestire i rapporti con le persone – professionisti, tifosi, famiglie – che troppo spesso lascia dietro di sé amarezza e macerie emotive. Non è un caso che, parallelamente, i laziali si sentano sempre più distanti dalla loro stessa società, come abbiamo analizzato anche nei nostri articoli sulla crisi strutturale del club e sui progetti come il nuovo stadio biancoceleste .

Basterebbe poco, in realtà: rispetto, trasparenza, una telefonata in più e un comunicato autocelebrativo in meno. Riconoscere il lavoro di chi ci mette passione, dire un “no” con educazione, assumersi la responsabilità delle scelte e non nascondersi dietro alibi o dietro il rumore dei social.

L’aquila volerà comunque sull’Olimpico, i cori torneranno a riempire lo stadio, le partite continueranno a scorrere nei calendari. Ma la qualità del rapporto tra la Lazio e la sua gente si misura proprio in storie come quella di Manuela: storie in cui capire se si vuole un pubblico passivo, da gestire a colpi di slogan, o una comunità viva, da rispettare anche quando chiede conto delle scelte più simboliche.