Lotito, credibilità zero!
Solito loop di parole e concetti: argomenti ZERO!
Il mio pensiero dopo oltre vent’anni di gestione, tra parole ripetute, scontri continui e una distanza ormai evidente con i tifosi laziali.
Arriva sempre un momento, nella vita di un tifoso, in cui smetti di reagire di pancia e inizi a ragionare per accumulo. Non è rabbia improvvisa, non è delusione legata a una singola partita o a una stagione storta. È qualcosa di più profondo: è la consapevolezza che certe dinamiche si ripetono da troppo tempo per essere casuali. È lì che nasce il mio pensiero su Claudio Lotito e sulla sua credibilità, oggi profondamente compromessa.
Il punto, per me, non è più se una dichiarazione sia fatta bene o male, se una frase sia più o meno azzeccata, se un intervento pubblico riesca per una sera a calmare gli animi. Il punto è che le parole hanno perso peso. E quando le parole non pesano più, significa che nel tempo si è rotto qualcosa di essenziale: il rapporto di fiducia.
Ventuno anni bastano per capire un metodo
Dopo oltre vent’anni di presidenza, credo sia legittimo affermare che il tifoso laziale abbia ormai tutti gli strumenti per valutare non solo i risultati, ma il metodo. Io non mi sento più nella fase dell’attesa o della speranza legata a un cambiamento improvviso. Mi sento nella fase dell’analisi lucida, quella che nasce dall’aver visto e rivisto gli stessi schemi comunicativi e gestionali.
Nel tempo ho imparato a distinguere le difficoltà oggettive del calcio moderno — che esistono e nessuno nega — da una gestione che spesso sembra più orientata allo scontro che alla condivisione. Ed è proprio qui che, secondo me, nasce la frattura più grave: non tanto tra società e risultati, ma tra società e tifoseria.
Quando una presidenza dura così a lungo, la responsabilità cresce. Non diminuisce. Perché più anni significano più promesse, più dichiarazioni, più linee narrative tracciate. E quando troppe di queste restano sospese, inevitabilmente la credibilità inizia a sgretolarsi.
Il conflitto come linguaggio abituale
Negli ultimi anni ho avuto sempre più spesso la sensazione che il conflitto sia diventato una scelta, non una conseguenza. Un modo di porsi che trasforma il tifoso in un interlocutore scomodo, talvolta addirittura in un avversario. E questo, per me, è inaccettabile.
Il tifoso non è un cliente qualsiasi. Non è un numero. Non è una variabile fastidiosa da gestire. È parte integrante dell’identità del club. Quando invece il dialogo si trasforma sistematicamente in provocazione, quando le critiche vengono liquidate come fastidi o attacchi personali, allora il messaggio che passa è chiaro: non c’è reale volontà di ascolto.
Il laziale pretende rispetto!
Io non pretendo che un presidente assecondi sempre la piazza. Sarebbe assurdo. Ma pretendo che la rispetti. E il rispetto non passa attraverso la continua contrapposizione, né attraverso dichiarazioni che sembrano fatte più per marcare il territorio che per costruire un percorso comune.
Non mi sento più rappresentato da un presidente che vive il rapporto con i propri tifosi come uno scontro permanente. Un presidente dovrebbe unire, proteggere, dialogare; invece, da anni, assistiamo a un atteggiamento di continua contrapposizione, quasi di fastidio verso chi sostiene la Lazio con passione e sacrificio.
Giornalisti maltrattati
Ancora più grave è il modo in cui vengono trattati i giornalisti: professionisti che svolgono il loro lavoro, spesso con educazione e rispetto, e che si trovano puntualmente di fronte a risposte sgarbate, ironiche, talvolta apertamente maleducate. Porre domande non è un affronto, è un dovere. Umiliare chi le pone non rafforza l’immagine della società, ma la indebolisce, allontanando ulteriormente tifosi, ambiente e credibilità istituzionale.
La cena di Natale: un copione già visto
Le parole pronunciate alla recente cena di Natale rientrano, dal mio punto di vista, in un copione già noto. Non metto in dubbio la capacità oratoria, né l’abilità nel trovare frasi ad effetto. Lotito, da questo punto di vista, è se
Manuel
